Occorre un’attenta rivalutazione dei metodi di cura.
E’ ancora troppo limitata la disponibilità di trattamenti psicosociali specifici di progetti riabilitativi personalizzati.
I programmi riabilitativi sono ancora scandalosamente insufficienti.
L’Istituto Superiore di Sanità dice che delle 1.370 strutture di residenza, ben il 31% non ha provveduto a dimettere alcun paziente nell’ultimo anno, il 32% ha invece dimesso una persona od al massimo due.
Questo la dice lunga anche sulla possibilità di approfittare della risposta ritardata di taglio comunitario in cui queste strutture operano, in uno al fatto che le famiglie collegate al disagio psichico da sole sono impotenti e vivono oltre al danno anche la beffa di questa loro tragica impotenza.
Il DPR 247/1999 “Progetto Obiettivo per la Salute Mentale” prevede che venga assegnato un operatore addetto al disagio psichico per ogni 1.500 abitanti. Orbene, allo stato attuale ne mancano 78.000 in tutto il paese.
Lo stesso decreto indica di destinare almeno il 5%” della spesa totale del Servizio Sanitario Nazionale alla Salute Mentale.
Ad oggi la media nazionale per questo impegno di circa il 2,5% (c’è da precisare che la spesa manicomiale in presenza degli Ospedali Psichiatrici è stata mediamente del 6,7% all’anno!).
Va da sé che i costi mancati, così considerevoli del resto, si sono trasferiti sulle famiglie. Sono esse, infatti, che vivono il carico di questa mancanza.
E si consideri che il numero dei casi di bisogno presenta un trend in aumento.
In particolare, i casi gravi di schizofrenia sono passati da 600.000 a 700.000.
Sono in aumento le patologie (il DSM IV, che è il Manuale Diagnostico di riferimento elenca ormai circa trecento patologie diverse del disagio psichico).
Secondo il Ministero della Salute (Ministro Veronesi), la platea di riferimento nel nostro paese interessa circa 10.000.000 di persone, tra cui circa 2.300.000 casi di depressione e le donne vengono particolarmente colpite.
Un capitolo a parte interessa la popolazione delle carceri che, su un totale di circa 56.000 internati, presenta circa 31.000 casi che rientrano nell’interesse del disagio psichico e per i quali non esiste alcuna strategia d’intervento in termini di prevenzione e di presa in cura.
La specializzazione degli operatori è oltre modo scarsa.
Infatti solo per il 5% si tratta di psicologi e solo per il 20% di specialisti psichiatri.
Inoltre, nel 20% di queste strutture non esiste personale infermieristico specializzato.
Tutto ciò in barba al concetto di prevenzione secondaria.
E’ ovvio che in simili condizioni non si può parlare di ottimizzazione della terapia integrata con la psicoterapia e di buone pratiche dell’apporto farmacologico.
Il 96% delle persone con disagio psicotico assume mediamente circa tre farmaci (psicofarmaci) per paziente.
Parliamo di antipsicotoci, antidepressivi, stabilizzanti dell’umore.
Gli esperti dicono che occorre stare attenti alla somministrazione di benzodiazepine, ritenendo queste molecole portatrici di dipendenza e comportanti alterazioni dei disturbi psicotici stessi.
Nei 15 paesi aderenti all’UE, l’Italia ha il più alto indice di incidenza di disturbi di salute mentale (30,2% del campione Demoskopea).
Anche l’indice che comporta la positività del benessere mentale è tra i più bassi, essendo solo il 58% ed avendo dietro solo la GB con il 53% e l’Irlanda del Nord con il 56%.
Nelle Marche i casi ufficialmente seguiti dai 13 DSM sparsi nelle quattro province sono 30.000.
Se moltiplicati per un nucleo familiare di riferimento di 3,8/4,0 persone, costituiscono una rappresentazione di sofferenza del disagio psichico che forma una città come la nostra città capoluogo di regione: Ancona.
Il 23% dei casi seguiti dai DSM è costituito da giovani con età dai 18 ai 34 anni.
Se consideriamo che l’aspettativa media di vita risulta di 40/50 anni ancora, viene da sé pensare che l’abbandono delle strategie inclusive e di risposta ambientale diventa una scelta immorale, oltre che illogica, in un paese di cittadinanza democratica ed a terzo millennio già iniziato!
Anche nelle Marche, il battente d’investimento sulla salute mentale coincide con quello nazionale. Infatti, su 2,150 miliardi di euro che la regione spende per il servizio sanitario totale, la cornice dedicata alla salute mentale è di 54 milioni di euro (pari al 2,51%). A conclusione del Piano Sanitario Regionale in corso di attuazione a fine 2005, tale cornice passerà al 2,61% (e solo se i pochi milioni di euro d’incremento previsti verranno davvero stanziati).
Per quanto riguarda le prestazioni specialistiche fornite dai DSM, registriamo che: un 25% circa viene erogato per la somministrazione dei farmaci, il 2,7% per la psicoterapia, il 3,7% per la formazione lavorativa, il 7,3% per la risocializzazione.
Gli ambulatori sparsi sul territorio offrono una disponibilità media di sole 95 ore settimanali (in una settimana le ore sono ben 168!).
Tali indicatori comportano necessariamente una risposta all’utenza di livello medio basso.
Anche questo aumenta il carico sulle famiglie, la drammaticità del problema, lo scandaloso aumento delle cronicità soprattutto nelle fasce dei giovani e dei giovani adulti.
Dei tredici DSM, ben sette sono al di sotto delle prestazioni medie regionali, già di per sé scarse.
Due DSM mancanti dei reparti ospedalieri di Diagnosi e Cura.
Mancano diverse strutture e comunità protette; mancano gli appartamenti, assistiti e non, che rappresentano l’anello finale della strategia della prevenzione terziaria la quale consente l’autonomia dell’utenza e la sua inclusione sociale a pieno titolo – vera finalità di una psichiatria moderna e comunitaria, secondo la L. 180/78, L. 833/78 ed il Progetto Obiettivo Salute Mentale.
Mancano risorse umane, in misura consistente, in sette DSM: Fano, Fabriano, Fermo, Ascoli, Jesi, Camerino, S. Benedetto.
Per il resto, la distribuzione delle unità di personale risente di disfunzioni collegate alla vecchia storia territoriale delle ex strutture manicomiali, con punte di ridondanza a Pesaro e a Macerata.
Unica nota positiva, in questo quadro regionale desolante, è costituita dalla recente istituzione del Servizio di Sollievo frutto di una felice intuizione dell’Assessorato Regionale delle Politiche Sociali.
Esso prevede un tentativo di alleggerire, per quanto possibile, il carico sulle famiglie del disagio psichico, con il tentativo di coinvolgere direttamente l’utenza giovanile impiegando operatori/ educatori con progetti mirati, che distraggano le persone interessate con esperimenti di ricontatto sociale, di auto mutuo aiuto, di inserimento lavorativo, di distacco temporaneo dal nucleo familiare per qualche ora alla settimana, di assistenza domiciliare (nei casi di pazienti adulti e particolarmente resistenti a lasciare l’abitazione).
Tale scelta è perfettamente coerente con il concetto di strategia della prevenzione e di abbassamento dello stigma. Essa è però insufficiente nelle sue disponibilità finanziarie, essendo circoscritta ad un impegno annuo di appena 2 milioni di euro in cofinanziamento con gli Ambiti Territoriali (L. 328/00 sulla riorganizzazione ed integrazione dei servizi sociali sul territorio) ed i Comuni collegati e consenzienti.
Una goccia nel mare delle necessità, ma pur sempre una novità che va alimentata e considerevolmente arricchita, soprattutto affinché essa diventi quanto prima legge regionale definitiva e non più testimonianza di sperimentazione.
La situazione di Fano si presenta, purtroppo, ancora più carente di quella seppure di già deficitaria della regione.
Abbiamo accennato che mancano circa 40 persone nell’organico previsto dal Progetto Obiettivo. Fatto, questo, negativo di sicuro, aggravato inoltre da due questioni: da un lato, la mancanza di risorse incide in modo particolare, perché si riferisce ad una necessità di 82 operatori; dall’altro, il DSM di Fano presenta un’esposizione alle patologie del disagio psichico nella popolazione giovanile (18/30enni) di ben il 26%.
Solo in corso d’anno 2004, è stato possibile aprire la struttura riabilitativa residenziale, con un progetto iniziale di inserimento sociale e con il rilancio del centro diurno; si tratta di una struttura pronta da diversi anni, ma che mai alcuno aveva insistito perché fosse messa in esercizio. L’associazione Libera.mente è stata determinante in questa decisione e, d’accordo con il DSM, ha consentito fosse aperta pur in mancanza di alcuni servizi e del personale necessario.
Libera.mente ha avuto ragione in quanto, nel giro di pochi mesi, alcune questioni sono state risolte ed altre avviate alla risoluzione.
Buona è stata la risposta dell’Amministrazione Comunale, buona la disponibilità del DSM e della Direzione ASUR della Zona; importante l’attenzione dei media e del NW Radio Fano, determinante la disponibilità di alcuni intellettuali che hanno costituito il Comitato Etico della Salute Mentale.
L’anno 2004 per l’associazione Libera.mente è stato il primo vero banco di prova per potere dimostrare la necessità di una cittadinanza organizzata, cioè di una cittadinanza che, se convinta di stare nel giusto e consapevole del diritto di decidere insieme a chi rappresenta il momento istituzionale, può davvero segnare una cifra diversa nella storia di una Comunità.
Insomma, è stato l’anno dei progetti e delle realizzazioni di cui parleremo più avanti nel dettaglio.